Progetto TIC
Il progetto TIC è partito dal presupposto di voler contrastare la dispersione scolastica attraverso l’utilizzo della didattica laboratoriale quale metodologia di apprendimento efficace. L’esperienza si è centrata sulla partecipazione degli studenti, in vista della promozione di un apprendimento motivante, grazie ad una didattica realizzata e pensata con gli alunni.
La finalità dell’Istituzione scolastica non sarebbe quello di formare ad un lavoro ma alla dignità umana; aspetto ben riscontrabile nel progetto TIC che ha avuto come obiettivo finale non quello di utilizzare una metodologia – quella laboratoriale – con il fine di promuovere dei nuovi inserimenti lavorativi ma lo scopo di prevenire sia early school leavers che l’abbandono scolastico in sé; aspetti fondamentali per un corretto orientamento scolastico e lavorativo oltre che socio-relazionale e dunque prerequisito imprescindibile per la formazione del cittadino e per la cittadinanza attiva.
Il progetto inoltre si proponeva di promuovere la motivazione allo studio e all’apprendimento attraverso un approccio non incentrato sul nozionismo ma tramite nuovi atteggiamenti che modificassero il modo di pensare se stessi, la scuola, la propria realizzazione personale.
Il laboratorio, fattivamente, ha visto inoltre realizzare da parte di tutto il team – esperti esterni, docenti, alunni -, ognuno con le proprie capacità e competenze, delle capannine metereologiche per usi agricoli realizzate con prodotti di basso costo; dunque un learning by doing, un compito di realtà, che ha prodotto una realtà funzionante e applicabile nella mondo agricolo.
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Premesse alle scelte metodologiche
L’Istituzione Scolastica posta davanti alle criticità dell’approccio esclusivamente nozionistico, improntato sul primato dell’istruzione ha tentato di affidarsi alla didattica, per trovare tecniche e strumenti validi ed efficaci rispetto al raggiungimento dell’obiettivo improntato sul sapere.
Le evoluzioni in campo pedagogico, la riproposizione del educando in quanto persona da sostenere e facilitare nella propria conoscenza di sé ha portato molti a studiare, interrogarsi, fare ricerca per riportare l’ago della bilancia sul piatto dell’educazione.
Tali spinte, improntate sul ben-essere della persona – alunno, docente, personale ATA, famiglia – si sono però concentrate prevalentemente sulla didattica, mantenendo l’imprinting istruzionista. Nonostante tale approccio, tutt’ora inadeguato per rispondere efficacemente alla necessità di umanazione del educando e di una relazione che sia realmente dialogica ed educativa, progressi importanti in risposta ad un clima sereno e ad un ritorno alla scholé greca – anche grazie alla didattica e ad importanti best practices – si possono riscontrare. Ciononostante è fondamentale porre la massima attenzione a quei miti e credenze, come li definiscono Calvani e Trinchero (2019) che senza un supporto scientifico o una minima ricerca pedagogica pretendono di trasformare opinioni in prassi educative.
Ulteriore rischio di fracasso educativo (Batini & Scerri, 2019) nasce dalla convinzione “che un metodo valga l’altro e che ciò che conta siano piuttosto la convinzione e la passione dell’insegnante” (Calvani & Trinchero, op. cit., p. 13). Siffatto “qualunquismo didattico [… nasce dall’] idea che ogni insegnante potrebbe ottenere buoni risultati soltanto seguendo la propria personale vocazione” (Ibidem). L’errore di questa tipologia di approcci educativa trova fondamento nella mancata formazione che porta a percepire in modo confuso i distinti metodi, a non riconoscerne i distinguo e le particolarità e le possibili applicazioni in risposta ai bisogni educativi degli alunni. Diviene dunque evidente come sia fondamentale avere una buona formazione rispetto ai metodi educativi che sicuramente trovano nella passione dell’educatore un fattore moltiplicatore importante ma non esclusivo rispetto al raggiungimento del famoso “successo scolastico” che, per quanto ci riguarda, implica il “successo personologico”.
L’idea che esista un metodo valido non tiene conto della ricerca relativa al Effect Size (ES) – che offre una stima quantitativa di efficacia rispetto ai metodi – né al valore qualitativo relativo alla plasticità del fattore educativo che riguarda non solo la relazione Io-Tu tra docente e alunno ma anche il contesto classe Io-Molti, che riguarda il docente e gli alunni e la relazione dell’alunno con i pari e con i docenti; relazioni alle quali si aggiunge poi il contesto scuola, quello familiare, la comunità educante come ben teorizzato da Bronfenbrenner (1979/1987) che ha immaginato l’ambiente ecologico come composto da una serie ordinata di strutture concentriche incluse l’una nell’altra.
Pensare ad una risposta efficace ed efficiente in ambito educativo prescindendo dal contesto significa annullare qualsiasi valenza un metodo possa avere. Un esempio educativo famoso di capacità di applicare metodi educativi vari partendo dalle persone è la buona pratica messa in campo dal metodo educativo “Freedom Writers” (Cursio, 2019). Come evidenziato da Calvani (2014), gli atteggiamenti della società, le aspettative verso la scuola condizionano in modo importante il processo di apprendimento; proprio le aspettative della famiglia rispetto all’educazione della scuola risulta essere il “miglior predittore del successo accademico” (Ivi, p.20).
Ulteriore aspetto verso cui porre grande attenzione è la moda della metodologia, pratica che vede imporre il metodo considerato più cool, che rincorre quella più attraente, la metodologia con più follower, quella con il nome in inglese, quella più accattivante ma che di rado, come evidenziato da Calvani (2014) poi risultano essere quelle adeguate a quel contesto specifico, a rispondere ai bisogni di quei ragazzi specifici. Si assiste sovente, in didattica, all’arrivo diretto al decision taking, all’azione, senza aver svolto un lavoro attento e maturo attraverso i singoli gradini del complesso sistema di problem solving che vedrebbe il primo passaggio nella fase di identificazione del problema (problem finding, problem setting, problem analysis) perciò un’analisi del contesto e dei bisogni; e soltanto poi la ricerca della soluzione ossia quale o quali metodologia/e utilizzare (problem solving e decision making); ed infine l’azione (decision taking) accompagnata da una costante valutazione e rendicontazione necessaria per cogliere – grazie anche al feedback degli educandi e della comunità educante – se le scelte maturate siano realmente rispondenti al contesto.
Sovente, invece, si riscontra un utilizzo improprio o superficiale di lemmi, sempre più diffusi, che confondono metodologie, tecniche e strategie ben strutturate con il puro spontaneismo (Bonaiuti, 2014) o la riproposizione amplificata dell’attivismo pedagogico non corretto dalle sue devianze infruttuose.
Progetto TIC
Il progetto TIC partiva dal presupposto di voler contrastare la dispersione scolastica attraverso l’utilizzo della didattica laboratoriale quale metodologia di apprendimento efficace. La situazione legata alla pandemia da Covid-19 e il ricorso massiccio della DAD e DID ha inevitabilmente impattato rispetto a tale proposito, allungando non soltanto i tempi di realizzazione del progetto ma anche le stesse metodologie e modalità didattiche proposte agli alunni da parte dei docenti e degli esperti esterni.
Quanto detto sopra ci porta a dire che nonostante il progetto abbia subito modifiche importanti rispetto alla didattica, l’obiettivo di creare un laboratorio di apprendimento per gli studenti a rischio di dispersione scolastica ha trovato risposte in altre metodologie risultate altrettanto efficaci ed efficienti per rispondere alla situazione sanitaria, culturale e di gruppo classe coinvolto nell’esperienza. Difatti il partecipazione degli studenti per promuovere un apprendimento motivante, incentrato sulla volontà si è potuto lo stesso promuovere grazie ad una didattica realizzata e pensata con gli alunni, anche se non attraverso il ricorso esclusivo del laboratorio. Una capacità di adattamento che era già stata ipotizzata nella presentazione del progetto (Formulario descrittivo, Allegato 2) quanto si affermava che il “percorso metodologico” “non va assunto come un pacchetto standard da applicare in maniera rigida, ma piuttosto da considerare come un intervento aperto, nel quale sia possibile apportare cambiamenti e integrazioni che aiutino gli studenti a sfruttare ogni occasione fornita dalle attività didattiche per sperimentare le abilità/competenze previste” (pp. 21-22).
La finalità dell’Istituzione scolastica non sarebbe quello di formare ad un lavoro ma alla dignità umana; è una visione ingannevole, mendace quella che la scuola promuove con il binomio studio-lavoro. Il contesto odierno continuamente rimarca siffatto inganno, in quanto sovente si caratterizza per l’immobilismo, la staticità; incapace dunque di formare ad una domanda – quella del mercato del lavoro – che è invece in continuo divenire e liquida. La società caratterizzata dal fast, fast, fast e dall’assenza di spazio-tempo richiede capacità dinamiche che soltanto un agire educativo è in grado di proporre (Fabbri, 2021). L’Istituzione scolastica è stata, invece, improntata all’obiettivo di formare i futuri lavoratori, ma i dati dimostrano che anche rispetto a tale fine – che rispetto alla realizzazione della persona risulta limitativo e al ribasso – il risultato è solo parzialmente positivo visto: l’incremento della dispersione scolastica; l’incapacità di rispondere alle skill shortage; l’aumento della forbice tra i knowledge workers e il “quinto stato”, ossia i lavoratori precari, mal retribuiti; la sostituzione delle professioni medio-basse con robot ad intelligenza artificiale; l’aumento della platea di coloro che sono stati definiti losers a fronte di un aumento di hard-to-fill-vacancies, ossia persone che non posseggono le attitudini e competenze necessarie per rispondere alla domanda di lavoro (Ibidem). L’istituzione scolastica oggi opera per trasmettere conoscenze teoriche, intellettuali e a volte saperi pratici, come nei contesti professionali (Istituti professionali e IEFP), dove si occupa spesso e prevalentemente, di formare ad un lavoro, dunque per uno scopo esterno alla persona. Il fine dell’educazione è invece quello di sostenere – in primis – la persona nel lavoro su se stessa e per se stessa, per sviluppare la propria autonomia, la propria corporeità, formare al giudizio e alla riflessione. Rispetto a ciò, emerge la necessità dell’atto educativo come veicolo dell’esperienza cognitiva, per rendere presente il sapere e per attivare e sprigionare la polifonia propria di ciascun soggetto. L’agire educativo individualizzato genera un confronto profondo e vivace che contrasta la rassegnazione, la ribellione, il timore (Ibidem). Tutto ciò era ben riscontrabile nelle premesse del progetto TIC che si prefiggeva, infatti, come obiettivo finale non quello di utilizzare una metodologia – quella laboratoriale – con il fine di promuovere dei nuovi inserimenti lavorativi ma lo scopo di prevenire sia early school leavers che l’abbandono scolastico in sé, ossia l’assolvimento sì dell’obbligo scolastico ma senza il conseguimento di una certificazione o titolo e soprattutto senza aver lavorato sul piano della formazione della persona e della conoscenza di sé; aspetti fondamentali per un corretto orientamento scolastico e lavorativo oltre che socio-relazionale e dunque prerequisito imprescindibile per la formazione del cittadino e per la cittadinanza attiva.
Il progetto inoltre si proponeva di promuovere la motivazione allo studio e all’apprendimento attraverso un approccio non incentrato sul nozionismo ma tramite nuovi atteggiamenti che modificassero il modo di pensare se stessi, la scuola, la propria realizzazione personale.
Obiettivo importante che si prevedeva di raggiungere in modo mirato attraverso il ricorso a metodologie didattiche inclusive e attive, con l’impiego di strumenti informatici che stimolassero interesse e la curiosità culturale, che catturassero l’aspetto relazionale includendo la sfera non solo dell’intelligenza cognitiva ma anche emotiva. Una proposta educativa che puntava alla crescita in primis dell’autostima degli alunni e come conseguenza – e non prerequisito o obiettivo primario – l’incentivazione anche delle performance. Un progetto, dunque, che è stato pensato e costruito con l’obiettivo di ruotare attorno al protagonismo dell’alunno e non del programma, attraverso dei laboratori pensati e realizzati non dal docente e/o dall’esperto e poi riversati sugli educandi ma spazi educativi costruiti con gli alunni.
Un modo di fare scuola distintivo che si proponeva di promuovere un’inversione di tendenza rispetto all’atomismo del sapere grazie ad una scelta di campo orientata ad una metodologia che prescindeva dalle singole discipline, specializzazioni coinvolte o aziende coinvolte.
La proposta educativa è la connessione tra un processo spontaneo – proprio dell’essere umano che vive in relazione, in quanto essere sociale, con altre alterità – e il ricorso a metodi, sollecitudini, conoscenze, saperi, cultura. Uscire dalla logica della programmazione rigida, aprire al protagonismo degli studenti non significa pura naturalità, puro libertarismo, assenza di stimoli o proposte che portano ad esperienze come quella di Victor dell’Aveyron, o di altri bambini definiti a suo tempo “selvaggi” (Fabbri, 2019).
Un progetto TIC impostato sulla metodologia laboratoriale – una proposta di learning by doing – non è puro attivismo ma presuppone anche una trasmissione di conoscenze e saperi teoretici, che ovviamente, in quest’approccio, non restano soltanto conoscenze sulla carta ma divengono saperi concreti; in richiamo all’apprendista di bottega del passato con l’aggiunta di una stimolazione alla metacognizione e alla metaconsapevolezza. La conoscenza teoretica non può, né deve essere eliminata ma integrata in un ambiente di apprendimento nuovo. Illudersi che l’educazione passi dall’eliminazione delle nozioni è costruire modelli dis-educativi. Basti pensare all’illusorio possesso di competenze digitali o della bassa alfabetizzazione digitale propria della generazione Z nonostante la sua immersione nei Social. Pertanto la metodologia scelta ed incentrata sull’approccio reale mantiene i fondamenti del processo formativo e di apprendimento propri dell’Istituzione Scolastica – così come i saperi delle discipline – ma attraverso una proposta di benessere, di clima positivo, a-prestazionale, non competitivo ma collaborativo tramite la realizzazione di obiettivi condivisi.
Un progetto che ha in sé la possibilità di divenire un laboratorio di apprendimento strutturato in modo permanente, senza cadere però nuovamente nella rigidità ma mantenendo la sua specificità di motilità legata agli alunni che cambiano. Un’imprevedibilità adatta a contrastare i drop out poiché rispondente le esigenze degli alunni, i loro interessi e stimolante quindi la loro volontà. Non vi è una domanda con una risposta definita ma una domanda da sviscerare attraverso i vari steps del problem solving.
Metodologie e strumenti
Il lavoro progettato dai docenti e dagli esperti, in risposta alle richieste della Regione, prevedeva il ricorso a metodologie didattiche e organizzative finalizzate sia ad un efficace apprendimento di saperi teorico-tecnici sia ad un completo sviluppo di competenze richieste dallo standard professionale. L’attività prevedeva la realizzazione di “una stazione meteorologica semplice ed a bassissimo costo per l’agricoltura e il monitoraggio delle previsioni e dei cambiamenti climatici” (Cantini, Allotta, Bini, Vieri, 2020). Collegato a questo primo aspetto, se vogliamo più di natura tecnico-pratica – legato alla ricerca sul campo portata avanti dagli esperti esterni alla scuola e dai docenti interni -, vi è la ricaduta sul piano educativo che vede la Comunità svolgere il suo ruolo di comunità educante attraverso una stimolazione e un coinvolgimento nel processo formativo e di apprendimento degli studenti stessi. Educandi, dunque, non più solo fruitori passivi di conoscenze ma sviluppatori, attori a scuola attraverso dei compiti di realtà che sono incontro reale e diretto con il mondo del lavoro. Un’opportunità di cogliere le ricadute concrete di nozioni e teorie astratte e percepite come lontane dal proprio vissuto, dal proprio reale e dunque elementi attivatori e stimolatori della motivazione.
Raccogliendo quanto svolto durante il percorso progettuale possiamo riscontare un viaggio segnato e riconducibile in parte alla Ricerca Azione Partecipativa (RAP), cioè quella nuova metodologia del conoscere umano, studiata e promossa da Paolo Orefice (2006), che consiste nel riportare il sapere in situazione di laboratorio protetto di conoscenza, ossia una teoria della costruzione dei saperi. Un approccio socio-educativo che si propone di contribuire a liberare il potenziale conoscitivo del educando, costituito dai saperi materiali ed immateriali, frutto di percorsi formali, informali e non formali. Conoscenze che non fanno riferimento – come abbiamo detto sopra – alla sola gnosi ma alla globalità della persona nella sua unicità.
Una metodologia – la RAP – che si contraddistingue dagli approcci positivistici ed empiristici; un metodo integrato che connette l’indagine sociale ed il lavoro di formazione ed azione. La Ricerca Azione Partecipativa racchiude in sé un approccio che vuol racchiudere più aspetti: la ricerca, appunto, fondata sull’indagine e lo studio che nel caso del progetto ha significato il lavoro degli esperti e la scelta di sensori commerciali a bassissimo costo montati su una scheda ARDUINO etcc.; l’azione che rimanda all’operatività – in questo caso la realizzazione della stazione meteorologica -; ed infine la parte Partecipativa ovverosia il coinvolgimento razionale ed emotivo del educando e con la sua sfera motivazionale ed esperienziale.
Proprio quest’ultimo aspetto evidenzia come la Persona sia l’elemento centrale del processo di costruzione dei saperi grazie alla sua singolarità e globalità. Difatti è l’alunno che coinvolto nel processo conoscitivo interagisce ed elabora i saperi selezionandoli, rimodulandoli, assimilandoli. Nella presente metodologia i saperi cessano di essere atomistici, disciplinari per assumere il volto dell’integralità, della complessità – secondo il concetto di Morin (2018) – in vista della risoluzione del problema; una proposta educativa non più settorializzata e demotivante ma prismatica, coinvolgente, motivante, comprensibile, sensata, collegata alla realtà e generatrice di un cambiamento anche dal punto di vista dell’Istituzione Scolastica.
Uno snodo fondamentale per la lotta al drop out è comprendere come la proposta educativa debba distinguersi dal nozionismo esasperato ed enciclopedico che ha mostrato i limiti di una trasmissione di informazioni infinite che non verranno automaticamente assimilate ed elaborate attraverso una integrazione con il proprio sapere. Poiché ciò avvenga è necessario un processo motivazionale, umanante, dialogico, incentrato sulla persona.
Seppur il metodo RAP sia prevalentemente pensato per una sua applicazione e ricaduta in ambito locale, nel piccolo si può riscontrare una sua validità di uso e ricorso anche all’interno dell’Istituzione Scolastica coinvolta assieme ad altri attori della Comunità Educante, come nel presente caso. Infatti, nel progetto TIC si riscontra una connessione tra settori e competenze diverse sia in fase di ricerca che di realizzazione del progetto. In tal modo si è attuata una connessione tra un’esigenza della comunità locale e il coinvolgimento di più soggetti – tra cui gli educandi – ognuno secondo le capacità e le competenze che possiede per risolvere il problema. La valenza di questa metodologia nell’ambiente scolastico – ripensato e rimodulato – si ritrova nel fatto che questa è una metodologia aperta e rimodulabile; difatti l’obiettivo, nella RAP diviene ipotesi rimodulabile, uscendo dalla rigidità scolastica che in questo contesto blocca la motivazione e facilita il drop out.
Le metodologie e gli strumenti che in fase progettuale e organizzativa erano stati previsti in vista di un efficace apprendimento di saperi teorico-tecnici, per un completo sviluppo di competenze richieste dallo standard professionale oltre che per lo sviluppo globale della persona ruotavano principalmente sul learning by doing, il cooperative learning e l’apprendimento simulato. Il ricorso a più metodologie proposte in modalità integrata, seguiva il filo rosso dell’esperienza laboratoriale, incentrata fortemente sul processo di problem solving nell’alveo del modellamento/apprendistato. Gli studenti, infatti, si era previsto di coinvolgerli nell’ambito del laboratorio attraverso una loro collaborazione nell’utilizzo degli strumenti e delle risorse messe a punto dai docenti e dagli esperti; per trasformare le nozioni in conoscenze significative e in compiti che avessero un riscontro di autenticità nel mondo reale. Una modalità didattica quest’ultima scelta e pensata in quanto capace di consentire agli studenti di costruire autonomamente la propria conoscenza – dunque di permettere un lasciar traccia in sé invece di apprendimenti volatili – attraverso l’interazione con un ambiente di apprendimento che – anche grazie al supporto promosso dal ricorso di nuove tecnologie – offriva una formazione in un contesto socio-relazionale-emotivo-cognitivo ottimale per lo sviluppo di abilità, competenze, conoscenze e capacità globali.
Il progetto si è difatti strutturato seguendo il principio della sperimentazione attiva, così da promuovere in ogni educando non solo il riconoscimento delle proprie life skills e il loro potenziamento, ma una crescita a tutto tondo, che coinvolgesse la persona nella sua interezza e dunque stimolando e facilitando la socializzazione, lo scambio non solo tra educatore ed educando ma tra pari e tra alunni e soggetti della Comunità Educante, aprendo e ampliando gli spazi di apprendimento grazie a relazioni multiple. Un tale ambiente di apprendimento è risultato proficuo poiché, rispetto alla lezione tradizionale in aula svolta nella sola relazione docente-alunno, qui gli spazi di socialità, le stimolazioni ad una partecipazione attiva, le metodologie improntate su una riflessione e confronto hanno sollecitato la curiosità, la motivazione, la capacità di metariflessione, metacognizione, metaconoscenza. Siffatti aspetti hanno aperto all’analisi anche sulle criticità all’interno del gruppo classe così da dar voce ai possibili problemi tra pari che inevitabilmente inficiano sul processo di crescita personale e dunque anche sugli apprendimenti.
In tale situazione è risultata importante la presenza delle figure delle Psicologhe che hanno facilitato gli studenti a crescere nel processo di discussione di gruppo e nelle capacità di team building. Un potenziamento e crescita di abilità nel discutere insieme, maturato grazie alla sperimentazione di possibilità volte a trovare soluzioni differenti al disagio, nel rispetto del singolo e del gruppo; grazie alla valorizzazione del singolo e della dimensione comunitaria. Successi conseguiti anche grazie al ricorso a metodologie meno frequenti in ambito scolastico, seppur conosciute, come il circle time e il cooperative learning. Stimolazioni importanti che hanno supportato non solo l’alunno a crescere nella dialogicità tra pari ma anche nella promozione e agevolazione di capacità comunicative all’interno del gruppo dei formatori, favorendo, giustappunto, il confronto fra adulti (operatore e insegnante) e studenti; stimolando non solo la partecipazione attiva, ma anche il riconoscimento ed il rispetto di punti di vista differenti.
Pertanto, in conclusione, il modello proposto dalla progettazione in dissertazione ha ruotato attorno alla realizzazione di un percorso che voleva portare allo sviluppo – nei due anni di lavoro – e acquisizione di competenze e capacità che avessero una ricaduta e applicabilità sia per la crescita personale dell’alunno, sia nel campo del lavoro più strettamente legato ai sistemi informatici nel settore della meteorologia. Infine riteniamo importante ribadire come in tale lavoro fosse riconosciuto il valore centrale di un percorso che voleva distinguersi dalla lezione tradizionale tramite un modello che cercava di aiutare i discenti a entrare in gioco fornendo non solo nozioni teoriche e know-how ma una visione globale, improntata non sul nozionismo ma sulla capacità critica.
Nella stesura del progetto si affermava che il “modello […] adottato nel progetto, pur prevedendo un’attività di aula con circa il 40% di ore dedicate alla didattica frontale, preferiamo considerare l’intero percorso della UF come didattica laboratoriale, in considerazione dell’approccio con cui tutti i contenuti vengono proposti e affrontati” (Formulario descrittivo, allegato 2). Più che didattica laboratoriale, più che uno sperimentalismo o innovazione fine a se stessa, ritroviamo in questa progettualità una lezione frontale pura. Come evidenziato da Calvani e Trinchero (op. cit., p.18) bisogna far attenzione ai miti in didattica, e tra questi troviamo l’abolizione della lezione frontale. Alla base di tale approccio troviamo spesso un fraintendimento rispetto a cosa sia realmente tale metodologia. Difatti il vero quid sta nel tempo occupato dal docente che si aggira, tendenzialmente, attorno all’80% (Ivi, p. 19). La scarsa efficacia di tale metodologia si ritrova giustappunto qui e nel fatto che si ignorino i principi fondamentali dell’interazione didattica che richiederebbero il coinvolgimento delle pre-conoscenze, l’attivazione dell’interesse e della motivazione, il mostrare chiaramente l’obiettivo e il fine del processo educativo, predisporre momenti di feedback, di modellamento cognitivo etcc… Nel progetto si è fatto ricorso dunque non alla “lezione frontale espositiva tradizionale” – che ha notevoli limiti ed è ricorrente nelle lezioni curricolari – ma ad una lezione interattiva come ad esempio la lesson study, affiancata ad altre metodologie più vicine alla didattica laboratoriale.
Per ultimo, possiamo affermare che la scelta di metodologie definite attive è stata operata in vista di facilitare nei partecipanti la metaconsapevolezza, metacognizione, metariflessione; capacità e attitudini necessarie a rispondere alla questione antropologica e successivamente per diventare imprenditori o lavoratori autonomi.
Progetto TIC e metodologie didattiche
Le metodologie adottate nel progetto si sono richiamate al principio di una didattica aperta, ossia un approccio metodologico fondato su di uno spazio nel quale gli alunni apprendono e imparano all’interno di un sistema aperto. Il distinguo – rispetto alla lezione tradizionale – consiste nella maggiore stimolazione e partecipazione degli educanti e nella relazione educativa altamente stimolante che vede attivi tutti i soggetti in quanto facilitatori dell’apprendimento proprio ed altrui, nei vari ruoli: caregiver e stakeholder; alunni-docenti; alunni-alunni. Nel progetto TIC, dunque, si è avuto un educando attivo, non più solo fruitore e accumulatore di nozioni; un soggetto chiamato a prendere anche decisioni in autonomia e a realizzare insieme agli insegnanti e ai compagni – attraverso l’agire concreto e collegato alla realtà, e non più solo un processo teorico o simulato – un manufatto frutto del proprio percorso di apprendimento. Un setting educativo trasformato: da una frontalità passiva ad una didattica partecipativa, orientata a sviluppare e facilitare le capacità di autonomia, di scelta e le competenze di cittadinanza.
Le varie figure coinvolte – docenti, esperti esterni, psicologi – si sono approcciati alle classi, come precedentemente illustrato, in una prospettiva di RAP, proponendo più metodologie sia poiché gli indirizzi di studio coinvolti erano parzialmente differenti, sia in vista degli argomenti che venivano trattati e che richiedevano a volte un approccio più improntato alle conoscenze teoriche e altre volte sperimentali, anche in vista delle abilità, conoscenze e competenze da attivare o necessarie come prerequisiti. Il ricorso a metodologie integrate ha richiesto una maggiore attenzione in particolar modo per la classe terza del tecnico nella quale si era riscontrato un livello motivazionale molto basso e dove l’approccio al laboratorio è risultato più difficoltoso a causa delle limitazioni legate al COVID-19 che avevano – rispetto alle classi quarta e quinta – inficiato in modo significativo rispetto a siffatto ambiente di apprendimento. Proprio rispetto a tale classe si è dovuto constatare un elevato numero di drop out, nei confronti dei quali il progetto non è riuscito ad avere un significativo impatto, così come non è riuscito a promuovere azioni di cambiamento rilevanti volte a creare – rispetto alla classica lezione e programmazione scolastica – azioni di benessere e motivazionali.
Tra gli strumenti utilizzati, oltre alle attrezzature di aula e di laboratorio, hanno avuto particolare rilievo gli strumenti di collaborazione a distanza, quali applicazioni web e mobile con cui docenti e discenti condivideranno materiali di studio ed esercitazione e documenti prodotti dagli studenti durante le attività laboratoriali. L’utilizzo di ambienti di collaborazione on-line – tipici dei gruppi di lavoro – è stata riconosciuta come opportunità che ha favorito l’arricchimento della formazione degli studenti sia in prospettiva futura nel senso dell’acquisizione di familiarità con strumenti e metodi di uso corrente nel mondo del lavoro, sia nel senso dell’educazione all’uso dei media digitali e dello sviluppo della consapevolezza di quanto le applicazioni di condivisione e comunicazione possono essere utili ai fini della produttività e dello sviluppo personale al di fuori dei normali campi di uso per la generazione Z.
Per la realizzazione del progetto è stata utilizzata la seguente attrezzatura: Aula didattica dotata di postazioni (banchi e sedie) per ciascun partecipante e con adeguate attrezzature e strumentazioni per lo svolgimento delle attività didattiche (lavagna a fogli mobili, videoproiettore, PC per proiezione slides). Laboratorio informatico attrezzato con 12 postazioni PC in rete, accesso ad internet linea ADSL scanner, stampante in condivisione, impianto per video proiezione, dispositivo di montaggio video, tutti i software necessari per lo svolgimento della didattica, lavagna luminosa, diapositive, lavagna a fogli mobili, per le attività pratico – operative. Inoltre i materiali utilizzati in aula sono stati elaborati in funzione degli alunni e del progetto, a differenza di quanto tendenzialmente avviene nella “didattica classica” nella quale la fedeltà granitica e inamovibile rispetto al libro di testo e al programma perde di vista la finalità: promuovere la persona umana.
Considerazioni da parte del team formativo
In orario pomeridiano, secondo i formatori, è stato possibile un approccio maggiormente individuale con gli alunni, ricorrendo anche a temi e modalità mirati. Ciò è dovuto sia al grado di preparazione – relativamente a conoscenze, capacità, abilità – di buon livello, che alla motivazione riscontrata. Il lavoro in questa fascia oraria è stato predisposto e sviluppato indipendentemente dalla progettazione in orario curricolare; rispetto a quest’ultima – maggiormente vincolata ai programmi ministeriali – nel pomeriggio si è prediletto un approccio legato agli studi di caso, al problem solving, a simulate, ad affrontare le problematiche che si presentavano; seguendo maggiormente gli interesse degli alunni e dunque incrementando fortemente la motivazione.
Impattante è stata sicuramente la situazione legata alla pandemia, infatti si è riscontrato un approccio totalmente diverso tra le classi, specialmente tra le classi quinte che avevano già vissuto – seppur in altre modalità – la realtà del laboratorio e le terze che a causa della DID e DAD erano meno inclini e abituati al confronto, al dibattito, ad una lezione partecipata e non subita. Dall’osservazione delle risposte al questionario si può affermare che la percezione dei formatori rispetto all’interesse riscontrato nelle attività pomeridiane sia molto positivo, come si può osservare dal grafico successivo.
Da tener presente è il background che stava dietro al gruppo del pomeriggio: ossia studenti che avevano deciso di partecipare per scelta personale al progetto e che erano stati stimolati ad un lavoro sia individuale che in piccoli gruppi e che possedevano grandi motivazioni. Nelle attività pomeridiane, come illustrato precedentemente, l’approccio è stato multimodale: laboratoriale, lezione frontale, problem solving, dibattito, circle time … in modo da favorire interazione, metacognizione, metariflessione, crescita personale. Il rimarcare tali scelte vuol far comprendere l’importanza di un progetto che ha accolto e ascoltato gli alunni e che ha riconosciuto il re nudo. Difatti l’alto tasso di analfabetismo funzionale o ignoranza tecnica non è semplicemente risolvibile attraverso il ricorso al sapere googleizzato; anche per gli stessi esperti tecnici – intra ed extra scuola – non è la soluzione efficace ed efficiente. Ciononostante dobbiamo riconoscere che tale prassi non è desueta nella comunità scolastica; invece, dato che l’obiettivo di questo progetto era abbattere notevolmente il drop out, si è puntato a contrastare anche l’analfabetismo attraverso la stimolazione di più canali conoscitivi e promuovendo esperienze e interazione e non solo sessioni informative.
Il ricorso prevalente a metodologie tipo il modellamento, lo scaffolding e il fading nasce dalla presa di coscienza di una comunità di alunni con forti limiti nell’autonomia e dunque per invertire tale rotta si è ritenuto fondamentale lavorare in un processo di crescita nell’autonomia attraverso un percorso in accompagnamento. Nel processo si sono poi inseriti momenti di dibattito, di peer to peer. Dalla valutazione finale dei formatori si riscontra un alto grado di successo rispetto a tale scelta metodologica, come si può osservare dal seguente grafico.
Sia in orario antimeridiano che pomeridiano la necessità di far percepire il rapporto stretto tra gli argomenti trattati e la realtà del mondo del lavoro è stato sempre promosso per facilitare la contestualizzazione del lavoro progettuale che si stava portando avanti, così come per aumentare interesse e motivazione, sia per favorire il problem solving. In particolar modo si è ricorso, come ripreso precedentemente, al metodo della simulazione simbolica con grande efficacia ed efficienza, come si può osservare dalle valutazioni espresse dal team. Le criticità che emergono hanno riguardato prevalentemente le lezioni in orario curricolare dove il progetto ha, con difficoltà, fatto breccia rispetto alla struttura curricolare rigida e impostata.
Nel progetto, le attività svolte attraverso il ricorso alle psicologhe ha visto l’utilizzo di metodologie altre, più legate al Peer to Peer, al team building, al Role Playing e al GBL con esiti, anche qui, positivi. Infatti si è riscontrato una maggiore valorizzazione degli studenti all’interno dei gruppi, un miglioramento nelle capacità relazionali, una ricaduta nella classe attraverso un aumento del coinvolgimento di tutti i membri.
Dai questionari emerge, inoltre, l’importanza del lavoro sulla dialogicità e sul contesto relativo alla comunità; infatti si può affermare che il progetto ha messo in luce la necessità di un lavoro che coinvolga non solo la scuola ma tutta la comunità educante per favorire un clima motivazionale e di interesse. Rispetto a tale questione è sicuramente un valore aggiunto riconosciuto da tutti – formatori e alunni – la presenza di esperti esterni alla scuola nello svolgimento delle attività formative. Gli aspetti riconosciuti come positivi in merito a ciò ruotano attorno a vari ambiti: come la maggiore vicinanza al mondo del lavoro; la costruzione di relazioni educative distintive rispetto al consolidato rapporto istruttivo alunno-docente. Dunque aperture e innovazioni che permettono uno sguardo sull’educativo e dunque sulle criticità che portano sovente ad avere numeri elevati di abbandoni scolastici (Rendicontazione Sociale Cellini, 2021; Invalsi, 2021).
Nonostante una prassi educativa ben distintiva rispetto al vissuto curricolare, il percepito da parte dei formatori è di una necessità di maggior coinvolgimento degli alunni; aspetto che vedremo evidenziato come bisogno inevaso anche dai questionari degli alunni.
Sicuramente il forte tasso di abbandono scolastico registrato in una classe terza partecipante al progetto dimostra come l’obiettivo di abbattere del 70-80% il drop out in quella classe non abbia avuto successo e dunque si necessiti di un lavoro che ancor più motivi e interessi gli alunni che, in caso contrario, una volta assolto l’obbligo scolastico, si allontanano dal contesto formativo senza aver svolto un reale percorso di crescita in autonomia, in conoscenza di sé, in conoscenze e nell’acquisto e valorizzazione di abilità e competenze. Invero, quando si osserva il grado di coinvolgimento si ottengono buone risposte, come si può osservare dal seguente grafico.
I dati non mostrano un apparente discrasia, ma quanto ribadito in più occasioni dalla pedagogia, dalla Pedagogia Clinicaπχ e dagli stessi formatori di questo progetto; ossia la necessità di stare sulle motivazioni, su ambienti educativi che permettano di stare in spazi aperti, che lascino il protagonismo agli alunni, predisponendo attività in sinergia con i docenti, spazi esperienziali e non prettamente nozionistici. In caso contrario le criticità rilevate non sono risolvibili dalla modalità “tradizionale” che non è stata in grado dare risposte alla discontinuità nella presenza, alla mancanza di interesse e motivazione, alla classificazione, alle disparità prodotte dalla DAD.
Progetto TIC in orario antimeridiano
Osservando le risposte al questionario somministrato a tutte le classi che hanno partecipato al progetto – due classi quinte (una del tecnico e una del professionale), una classe quarta del tecnico e una classe terza del tecnico – si evince che gli alunni erano ben consapevoli dei contenuti del progetto e che quanto è stato poi messo in atto da tutti i partecipanti – alunni, docenti, esperti esterni – ha corrisposto alle aspettative iniziali di quasi la totalità degli educandi (83,2%).
Il dato significativo rispetto a coloro che hanno partecipato soltanto al progetto TIC in orario curricolare è il basso match tra quanto promosso dal percorso e gli interessi propri dichiarati dagli alunni. Un elemento fondamentale da tener presente dato l’alto tasso di incidenza di questo aspetto rispetto alla motivazione e dunque al processo finale di apprendimento, di crescita e di raggiungimento dell’obiettivo di abbattimento significativo del drop out. Rispetto a quest’ultimo punto, infatti, va preso atto – come precedentemente già evidenziato – del mancato successo in particolar modo nella classe terza del tecnico dove il lavoro svolto non è riuscito ad invertire la tendenza all’abbandono scolastico che è stato del 50%. L’impatto curricolare ha inciso fortemente e lo scarso interesse per questo progetto non ha portato a quel cambiamento sperato che puntava a creare volontà e motivazione nei confronti di un percorso di crescita educativa.
I dati aggregati mostrano livelli molto bassi di interesse rispetto al progetto. Significativo rispetto a ciò è il monitoraggio dei dati aggregati per classi dove – come si può evincere dal grafico successivo – emerge una valore relativo all’interesse abbastanza alto nella classe quinta e valori molto inferiori nelle classi quarta e terza.
In particolar modo si può osservare una spaccatura importante nella classe quarta (grafico precedente) dove si anno valori tendenzialmente di interesse alto e dichiarazioni di interesse estremamente basso o nullo. Nella classe terza, invece, l’interesse per il progetto è generalmente medio-basso (grafico successivo).
Un elemento da tener presente e che ha inficiato in modo rilevante sul progetto TIC e rispetto anche a questi dati si lega alle criticità emerse e nate con la DAD che nelle classi terze e in parte nelle quarte ha lasciato importanti segni. Pertanto progettualità come la presente, che prevedono un approccio multi modale, si ritiene possano essere la risposta più adeguata per invertire tale processo di forte demotivazione e disinteresse nei confronti dell’ambiente educativo, specialmente se strutturato nel quasi solo approccio nozionistico. Nonostante le dichiarazioni emerse nei grafici sopraelencati, uno sguardo complessivo al progetto, alla duplice realtà antimeridiana e pomeridiana, ci permette di poter affermare che tutto l’apprendimento improntato con questa modalità – risolte le criticità emerse – sarebbe una valida risposta agli obiettivi prefissati.
Non possono, poi, lasciare indifferenti, i dati emersi in coloro che hanno svolto solo il progetto in orario antimeridiano e che considerano quanto vissuto in questa esperienza totalmente o quasi totalmente slegato (il 50% circa delle risposte) rispetto al futuro lavorativo e rispetto a quanto il mondo del lavoro potrebbe loro richiedere. Seppur vero che rispetto alle competenze – come evidenziato da Bauman – oggi si registri un loro ciclo di vita corto, così come dei saperi tanto da poter diventare ostacoli per il lavoratore (Portera, Böhm & Secco, 2007, p. 66), nel presente progetto vi era l’immediato confronto con il mondo del lavoro oggi realmente in essere grazie alla presenza di esperti. Pertanto, pur tenendo presente quanto sopra richiamato relativamente alle dimostrazioni del sociologo polacco, ciò che è emerso alla fine del progetto ci deve interrogare sulla necessità di creare spazi educativi che stimolino l’alunno attraverso un modello epistemologico non più positivista, meccanicistico ma secondo un agire educativo improntato sulla categoria della possibilità (Pezzella, 2012). Tale approccio, assieme a metodologie strutturate su esperienze reali, su compiti di realtà, su concretezze, risulta indispensabili per cambiare lo sguardo di quegli alunni che si perdono, di quegli sguardi disinteressati, demotivati, avvizziti, svincolati totalmente dal reale e costantemente proiettati in un futuro che non c’è.
Passando ad una osservazione relativa alle metodologie utilizzate nel progetto emerge quanto già evidenziato dai formatori; ossia la necessità di ricorrere non solo ad esperienze ma anche a lezioni frontali – nella modalità sopracitata –, aspetto che ha riscontrato favore anche negli alunni. Infatti essi stessi hanno valutato positivamente tale approccio, riconosciuto come utile per addentrarsi in argomenti nuovi e non conosciuti, grazie anche ad un linguaggio riscontrato accessibile, al ricorso ad esempi pratici e ad un coinvolgimento attivo della classe. Il materiale messo poi a disposizione, sotto forma di slide, grazie ad un linguaggio agibile ha permesso di usufruire delle nuove conoscenze a tutti e di riconoscere la validità di questa scelta. Mancate è risultata essere la percezione da parte degli alunni del ricorso al feedback, vissuto più come somministrazione di esercizi e compiti che come momento di consolidamento, verifica, di metariflessione e metaconoscenza. Di conseguenza la valutazione di questa metodologia è risultata negativa, come si può notare dal grafico successivo, in controtendenza con quanto affermato e valutato dalla componente docente.
Il ricorso, invece, alle varie modalità riconducibili al modellamento sono state riconosciute dagli allievi e valutate positivamente dalla maggioranza di essi; tale riscontro è dovuto alla consapevolezza che tale metodologia ha permesso agli studenti di essere proattivi e di acquisire autonomia grazie ad una gradualità rispettosa di ogni singolo bisogno educativo e di ogni individualità.
Il Circle Time, come già evidenziato precedentemente, è stato poco utilizzato; aspetto di cui gli studenti sono risultati essere ben consapevoli. Una modalità che è risultata essere molto apprezzata e di cui si sarebbe desiderato un maggior impiego. In particolar modo è emersa la percezione che si sia ricorso poco a questa e altre metodologie poiché vi era da procedere con una programmazione da ultimare; dunque rientrando nello schema della scuola nozionistica e abbassando notevolmente interesse e motivazione, come osservato dalle dichiarazioni degli alunni ad inizio questionario.
La nota dolente della motivazione avrebbe dunque richiesto l’affidarsi maggiormente a quelle metodologie più legate anche alla parte laboratoriale, alle quali si è ricorso con grande successo nel percorso pomeridiano. Tutte le metodologie che prevedevano maggior partecipazione e protagonismo degli alunni hanno infatti riscontrato elevato successo. Inoltre, osservando le risposte date rispetto ai metodi richiamanti specialmente le simulazioni simboliche hanno ottenuto un elevato grado di soddisfazione; riconoscimento legato anche ad una percezione del metodo come facilitatore e sostenitore della relazione e della dialogicità tra alunno ed esperto ma anche tra gli stessi alunni. Aspetto riconosciuto e valutato come il punto di forza di questa esperienza e elemento trainante la motivazione e la partecipazione.
Il forte valore del lavoro di gruppo, la necessità di implementare la capacità di collaborazione e cooperazione è emersa in modo esplicito anche in tutte le domande successive del questionario che riguardavano proprio il metodo di apprendimento cooperativo. Una necessità dichiarata come bisogno legato in modo importante anche all’isolamento vissuto in DAD.
La relazione educatori-educandi, poi, è stata valutata in modo positivo dagli alunni che hanno riconosciuto una gestione del tempo rispondete alle proprie necessità e facilitante gli apprendimenti e l’attenzione, così come gli spazi di interazione. Estremamente positive sono le considerazioni relative alla quantità e fruibilità dei materiali didattici messi a disposizione dagli educatori.
Il successo del progetto in orario antimeridiano emerge in modo evidente nel confronto con la didattica “tradizionale” nei vari aspetti tra cui la presenza di formatori anche esterni alla scuola, come emerge dal seguente grafico.
In conclusione, se osserviamo la domanda n. 38 emerge un elevato numero di indecisi rispetto ad una valutazione del progetto. Osservando le domande precedenti e le motivazioni alla presente, emerge un dato importante, già precedentemente analizzato e discusso, ossia la percezione di un coinvolgimento ancora poco adeguato, non sufficiente. Nonostante tutti i feedback positivi, la strutturazione del progetto – anche a causa della DAD che ha imposto un forte ricorso a Teams – che prevedeva un 40% di lavoro più legato alle conoscenze nozionistiche evidenzia il permane di un limite rispetto al conseguimento di un benessere scolastico, un incremento di interesse e motivazione e relativamente al raggiungimento dell’obiettivo di invertire la tendenza all’abbandono scolastico.
Progetto TIC in orario pomeridiano
A conclusione del progetto è stato somministrato un questionario di feedback agli educandi e agli educatori che hanno svolto soltanto il progetto in orario pomeridiano. Nelle prime domande si è cercato di far emergere il vissuto esperienziale, in particolar modo relativo all’obiettivo che si era posto il progetto, ossia quello di promuovere una didattica proattiva, capace di vedere l’alunno protagonista attivo e non partecipante passivo del processo di apprendimento. Come si può notare dalle risposte raccolte (domanda n.2, 3, 4, 5), il progetto TIC realizzato in orario pomeridiano ha, nel suo complesso, riscontrato elementi di notevole positività sia rispetto alla motivazione e interesse che in vista delle ricadute nel mondo del lavoro. Dunque un apprendimento non percepito come fine a se stesso, avulso dalla vita del discente, ma ritenuto e riconosciuto come utile e conveniente. Un gap estremamente importante rispetto ai dati raccolti nei questionari relativi alla sola progettazione in orario antimeridiano.
Come già sopra evidenziato, la formazione in orario pomeridiano prevedeva il coinvolgimento – in modalità facoltativa – degli studenti appartenenti alle quattro classi coinvolte (terza, quarta e quinta). Vista la discrezionalità rispetto alla partecipazione, si può affermare che la risposta è stata numericamente significativa – intorno al 25% -; inoltre, osservando le risposte al questionario somministrato (domanda n. 6), emerge che la partecipazione si basava su una forte motivazione ed interesse legati: all’apprendimento, alle prospettive future, alla volontà di fare esperienza, dal desiderio di applicare al piano pratico quanto teoreticamente appreso. La presenza stessa di esperti esterni è stata riconosciuta dagli educandi come risorsa importante da non sprecare, la possibilità di conoscere ed incontrare il mondo lavorativo, un’opportunità per sostare sul compito reale, sul caso concreto uscendo dalla struttura scolastica, percepita come troppo rigida, irreale, distante, inutile. Inoltre la possibilità di sperimentare conoscenze, abilità e competenze in laboratorio è stato percepito dagli alunni come un momento importante per coltivare le proprie passioni. Si può facilmente comprendere come tali dichiarazioni facciano emergere il vissuto di uno spazio educativo percepito come stimolante, incentrato sul benessere e sulla proattività dell’alunno che in un tale clima è portato ad un apprendimento facilitato, interessato e ad una crescita globale di sé, allontanando i rischi di drop out, obiettivo proprio di questo progetto oltre che dalla stessa Rendicontazione Sociale dell’Istituto Cellini (2021).
Il progetto, anche nel suo svolgimento pomeridiano, ha visto uno sviluppo realizzato attraverso il ricorso a più metodologie didattiche, tenendo sempre presente lo schema della RAP e richiamando via via una tecnica rispetto ad un’altra in base alle necessità del momento. Il ricorso a più metodi e un clima partecipativo ha permesso di ricorrere anche a quelle metodologie tendenzialmente bistrattate come la lezione frontale – a ulteriore riprova di quanto già evidenziato da Calvani e Trinchero (2019, p. 21) rispetto all’utilizzo improprio di una tale metodologia e non al suo essere scarsamente efficace come strumento – riconosciute in questo progetto come valide dagli stessi alunni; poiché fondate sull’interazione didattica, sul coinvolgimento dell’allievo, su una lezione non impostata sulla tradizionale esposizione ma interattiva.
Lo stesso ricorso da parte dei docenti ed esperti esterni a schede, approfondimenti, video fornite dagli alunni per un lavoro da portare avanti a casa in modo autonomo è stato recepito costruttivamente; una ricaduta positiva proprio perché incentrata sull’alta motivazione a partecipare al progetto.
Sovente i formatori hanno fatto ricorso al modellamento, una prassi che ritrova la sua validità in circostanze nelle quali si voglia promuovere abilità, atteggiamenti e pensieri legati alla pratica; in particolar modo si è attuato lo scaffolding e il fading che sono state ben accolte e percepite come qualitativamente utili al percorso di apprendimento dagli stessi educandi (domanda 11).
Nello svolgimento del progetto in orario pomeridiano si è ricorso ad ulteriori metodologie didattiche quali lo studio di caso, il mutuo insegnamento, l’apprendimento cooperativo, la discussione, il Problem Based Learning e il Circle Time. Rispetto a tutte queste metodologie la risposta da parte degli alunni è stata molto positiva; sono state vissute come efficaci ed efficienti per stimolare la partecipazione, motivare l’interesse, supportare e sostenere l’apprendimento e la relazione, favorendo un clima di collaborazione e di benessere invece di un ambiente competitivo e prestazionale.
La motivazione alta e le metodologie utilizzate hanno permesso di far vivere la parte degli apprendimenti anche dal lato nozionistico in modo costruttivo (domande n. 24-30) tanto da considerare l’esperienza vissuta estremamente positiva rispetto alla “lezione tradizionale”. In merito a tale questione è importante notare come sia riconosciuto un valore aggiunto importante la presenza di formatori esterni all’ambiente scolastico che assieme al docente curricolare hanno portato avanti l’esperienza, come si nota dalle risposte alla domanda n. 31.
Nonostante il ricorso a metodologie che prevedevano un’importante partecipazione attiva da parte degli educanti, come si può notare dal grafico successivo, permane – anche nei partecipanti al progetto in orario pomeridiano – una forte necessità di avere sempre più spazi di autonomia, di protagonismo. Osservando il dato non aggregato emerge, e si comprende il valore di siffatta risposta, come tale richiesta sia portata avanti in particolare dagli alunni di quinta, che si trovano a fine di un progetto che li ha visti coinvolti per un largo lasso di tempo oltre che essere giunti alla fine del loro percorso scolastico.
In conclusione, analizzando le risposte alle ultime domande somministrate nel questionario emerge un riconoscimento di valore rispetto al progetto TIC e al suo essere in grado, attraverso le metodologie proposte, di promuovere gli obiettivi di incrementare l’interesse e la motivazione e contrastare la dispersione scolastica. Il grafico successivo racchiude, in sintesi, proprio il valore positivo attribuito all’esperienza pomeridiana e facoltativa da parte degli alunni.
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